Ricominciare dal “Primo Giorno”
3^ – La festa fa parte dell’uomo.
“Senza la dimensione della festa
la speranza non troverebbe una casa dove abitare”[1].
La Festa fa parte dell’uomo. Come l’uomo, anche l’animale mangia, beve, si riproduce e perfino si diverte. Ma non conosce la festa. Il giorno festivo, infatti, si qualifica come “luogo” in cui l’uomo – e solo l’uomo – ritrova sé stesso e il senso più profondo del suo vivere. La festa infatti è espressione e insieme momento attuativo di quel desiderio innato che anima segretamente i suoi progetti e il suo operare: l’aspirazione a vivere e ad essere felice. La voglia di far festa – avvertita dall’uomo di ogni tempo e di ogni terra – scaturisce dal presentimento che senso e pienezza risiedono, in ultima analisi, nell’amore condiviso e nella gioia che ne promana. La Festa è epifania, cioè manifestazione dell’amore desiderato e, in quel giorno, finalmente vissuto: le differenze e i rigidi rapporti sociali si stemperano e lasciano il posto al sentirsi famiglia e al senso di serena sicurezza che ne deriva.
Che la ricerca dell’amore condiviso sia racchiusa, come latente richiamo, in ogni esperienza umana non è verità di prima evidenza. Apparentemente infatti si rincorre il prestigio, la ricchezza, un elevato status sociale, il primeggiare, ecc. per la gratificazione immediata che ne proviene. In realtà, sottoposti ad un esame più attento, questi “oggetti del desiderio” si rivelano essere solo mezzi o modi finalizzati sia a evitare il disagio procurato dal disinteresse sociale nei nostri confronti e il conseguente senso di emarginazione e di solitudine sia, in positivo, ad assicurarsi attenzione, stima, apprezzamento da parte degli altri. Ma la stima, l’attenzione, l’apprezzamento, il rispetto, l’ammirazione… non sono forse forme di amore (parola molto elastica e polisemica!)? Dietro la soddisfazione per il possesso di quei beni si nasconde la gioia di sentirsi “amati” dagli altri. È dunque “l’amore societario” che, in ultima analisi, viene implicitamente ricercato.
Queste considerazioni ci inducono a riaffermare la priorità della festa sul lavoro. Il lavoro, procurando i mezzi necessari per campare, richiesti dai bisogni primari, offre certamente una prima risposta all’esigenza di vivere e di essere felici: la sicurezza economica infatti ci dà tranquillità. Per questo noi tutti lo consideriamo un bene fondamentale, indispensabile alla vita. Tanto è vero che dal lavoro ci lasciamo “prendere” e ci dedichiamo senza riserve alle varie attività per assicurare pane e benessere a noi stessi, alla famiglia e alla società. Tuttavia il lavoro è un mezzo. Ma la vita va oltre il lavoro. Noi, infatti, non siamo macchine per la produzione né robot da ufficio! Siamo persone che vivono di valori e di affetti, persone che si sentono – non isole vaganti, ma – membri della grande famiglia umana e cristiana presente nel paese o nel quartiere. Noi non siamo contenti solo quando abbiamo la tavola riccamente imbandita, la casa confortevole, il vestito di tendenza o comunque quando abbiamo a disposizione molte “cose”; noi facciamo esperienza di gioia soprattutto quando riusciamo a stabilire delle relazioni autentiche e gratificanti con gli altri: nell’ambito della famiglia, dell’ambiente di lavoro, della società. Il lavoro ci serve per campare, ma ciò che ci fa vivere sono i sentimenti.
La Festa viene a dare espressione a questi sentimenti, la Festa è la celebrazione gioiosa di questi sentimenti. Ed essa ci fa sentire, più di mille discorsi, ciò che veramente conta nella vita.
(continua…)
Sac. Antonio Salone
[1] Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Ecclesia in Europa, n° 82, Vaticano 28 giugno 2003.